Imprevisti
Damiano Magrini & Sofia Pasqualucci • 27 febbraio 2023

Questo articolo è stato pubblicato sul numero di febbraio 2023 di iThink, “I tabù”.
— Hai bestemmiato! Vai in prigione direttamente e senza passare dal «Via».
— Ma come, in prigione. Dove stiamo, in Iran?
— Non lo so, qui sulla carta sta scritto così. E poi, sì, bestemmiare non è il massimo… in Italia, se ben ricordo, la sanzione arriva fino a trecento euro.
— Tu quindi non hai mai bestemmiato?
— No… no.
— Mai, nemmeno per rabbia?
— Forse sì, ma preso dal momento…
— E allora! Se sei convinto che una bestemmia sia tale quando si è calmi, lo è anche quando si è in preda alle emozioni.
— Va bene, non sono perfetto ed è capitato anche a me di bestemmiare. Adesso vai in prigione e continuiamo a giocare?
— No, in prigione non ci vado e ti spiego perché. Prima ti ho detto che la bestemmia è bestemmia anche da arrabbiati, ma secondo te ha lo stesso valore bestemmiare con intenzione o senza?
— Sì, penso di sì.
— Io invece dico di no. Non credi che bestemmiare con l’intenzione di farlo, con l’obiettivo di offendere Dio, sia peggio che bestemmiare per rabbia? Quando tu hai bestemmiato, perché lo hai fatto?
— Immagino che sia la cosa peggiore che mi veniva in mente e quindi l’ho detta… ha senso?
— Certo che ha senso! Hai bestemmiato perché era la cosa più brutta e offensiva che ti venisse in mente sul momento, non perché pensassi veramente quel che dicevi. Secondo me, questo tipo di bestemmia è meno grave; anzi, forse è quasi giustificabile.
— Giustificabile, una bestemmia? Non direi: perdonabile, forse, ma non giustificabile.
— Ma come, l’hai detto tu ora! Hai bestemmiato perché non riuscivi a pensare a cosa più offensiva da dire, ma non l’hai fatto per offendere o deridere Dio, l’hai fatto per sfogarti. Io credo che questo sia umano e perdonabile. E comunque, vietare le bestemmie viola la mia libertà d’espressione! Io, in Dio, neanche ci credo.
— C’è chi ci crede, però, e potrebbe offendersi.
— Io credo nei pesci, allora. Anche in quelli più piccoli.
— Che cosa?
— Ah, non lo so. Tu non hai mai sentito qualcuno dire «Mannaggia a li pesci», o «li pescetti»? Così, almeno, sanzioniamo anche loro. La legge è uguale per—
— Per tutti, per tutti, sì. Ma non è questo il punto: tu non veneri i pesci come dèi.
— Magari venero un dio a cui i pesci sono sacri. Oppure venero un dio che mi impone di scagliarmi con tutto me stesso, e con ogni vituperio, contro il dio altrui: sarebbe bestemmia non bestemmiare.
— Sì, ma non è realistico. Qualcuno ha davvero un dio del genere?
— No, no, certo. La legge, comunque, dovrebbe essere uguale anche per tutti gli dèi. Non è che se uno ha qualche necessità particolare, allora non lo si rispetta.
— D’altro canto, se una legge tutela a ogni dio solo un certo numero di diritti, è uguale per tutti: ogni dio dev’essere rispettato, ma non può pretendere altro.
— Va bene, ma perché siamo arrivati a tutelare i diritti degli dèi? La legge, in fin dei conti, regola i rapporti tra gli uomini — poco importa agli dèi.
— Hai ragione, hai ragione… forse la legge non difende in sé gli dèi, ma piuttosto chi in qualche dio ci crede, e si offenderebbe se venisse preso a male parole. Perché, in ultimo, la legge tutela la società come insieme di persone che interagiscono e lavorano insieme, ed è sufficiente accontentare quasi tutti, quasi del tutto, per mantenere una certa stabilità.
— Quasi tutti, quasi del tutto. Perché quei «quasi»?
— Perché ci sarà sempre qualcuno che non sarà contento. Chessò, forse c’è chi venera i pesci, o adora i pescetti. O magari qualcuno si offende anche senza che occorra chiamare in causa un dio: eppure chi bestemmia contro i santi resta impunito.
— Cioè, basta accontentare il maggior numero possibile di persone per mantenere stabile la società. Le leggi non tutelano gli individui, ma solo la società! Pensaci: se qualche governo potesse renderci schiavi e farci lavorare senza che potessimo ribellarci, non servirebbero le leggi.
— Come in Nineteen Eighty-Four. Lì le leggi non ci sono.
— Vero: se ti comporti in modo da rendere meno stabile la società, con ogni probabilità sarai ucciso dalla polizia. Ma non serve nessuna legge, basta eliminare gli elementi di contrasto.
— Però, più che «società», direi «Stato». La società è più spontanea, è fatta di rapporti tra le persone: le leggi fanno lo Stato. E lo Stato è tanto più stabile quanto più felici sono i suoi cittadini. O meglio, quanto più i cittadini sono convinti di essere tutelati. Il problema delle bestemmie non è che offendono un dio (o «Dio», se vuoi), ma che generano dissapori tra le persone e minano la stabilità dello Stato.
— E le teocrazie? Come quelle islamiche, intendo. Lì è diverso.
— Teo… cosa?
— Sì, quegli Stati in cui teoricamente governa Dio, o chi per lui. Nei Paesi islamici dovrebbe funzionare così: pensa che, se bestemmi in Pakistan, ci sono serie possibilità che riceverai la pena di morte.
— Di morte! Ma che senso ha?
— Ha senso se cambi il significato della bestemmia: finché è solo uno strumento di disordine, si può quasi perdonare; ma se diventa un’offesa a un dio — al tuo dio, che è quanto di più importante e grande e prezioso tu abbia! — allora è un danno gravissimo e irreparabile. Loro sì che rispettano Dio.
— Ma se tu non ci credi.
— No, ma so che molti ci credono. Vietare le bestemmie per tutelare le società degli uomini non è forse, in sé, una bestemmia?
— Su, via… ci manca solo che tu mi dica che tutti gli Stati dovrebbero diventare teocrazie.
— Ebbene?
— «Ebbene»?
— No, dico, devo andare in prigione allora? Inizia a farsi tardi, vorrei finirla questa partita.
— Come vuoi tu — per me puoi tirare di nuovo i dadi, fa’ pure.
— Eccoli, allora. Vediamo… tre e tre, quindi avanzo di sei caselle.
— No, perché hai fatto dadi doppi per la terza volta: vai in prigione direttamente e senza passare dal «Via». ■
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